La Civita

La Civita

La Civita

Rovine Antiche

La Civita

X secolo a.C.

Acropoli

“E chi voglia vedere il paesaggio cornetano in quanto ha di più vario, profondo, meditativo, deve guardarlo da questo ritiro elevato…; Meraviglioso è l’accordo fra ciò che sappiamo della Civita e le impressioni che ci destano le sue reliquie e la sua posizione…; La Civita è un mistero naturale e paesistico, una grossa macchinazione della fantasia religiosa e politica degli Etruschi.” Vincenzo Cardarelli traduceva queste emozioni nelle pagine del suo “Villa Tarantola” (1948) vincitore del Premio Strega. Emozioni che ancora la “Civita”, il pianoro più interno parallelo a quello della Necropoli, suscita ancora deserto, ancora denso di tracce profonde dell’antica civiltà degli Etruschi.
Passeggiare sulla Civita, che punta verso il mare che si intravede fra due quinte collinari, significa trovarsi nel vivo della vicenda di una delle più famose città etrusche. A tal proposito fanno eco le fonti letterarie che raccontano di Tarconte, il fondatore della città: arando una zolla di terra tarquiniese egli ne vede scaturire Tagete, il fanciullo nato vecchio, dal quale riceve i fondamenti della religione etrusca.
È così che la città assume un ruolo di primo piano per la cultura del popolo etrusco, che Tito Livio definisce “gente sopra ogni altra dedita alle pratiche religiose” (Liv. V, I, 6). La Civita di Tarquinia è formata da due pianori uniti da uno stretto istmo dove si sono svolti scavi sistematici fin dal XIX secolo. Nella prima metà del secolo scorso l’archeologo Pietro Romanelli ne ha messo in luce il profilo di città etrusca, scoprendo il circuito delle mura che unisce il Pian della Regina, con l’imponente santuario dell’Ara della Regina, al pianoro occidentale che conserva resti di edifici dell’abitato. Alla saldatura fra i due pianori, sul lato volto verso l’interno, rinvenne la porta che ancora oggi porta il suo nome, “Porta Romanelli”.
Nel 1982 sono iniziati gli scavi dell’Università degli Studi di Milano sul pianoro occidentale che hanno messo in luce il ‘complesso-monumentale’, la più antica area sacra etrusca finora rinvenuta, e le fasi più antiche del santuario dell’Ara della Regina. Negli anni più recenti sono riprese le indagini sulle mura a cura della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria meridionale e dell’Università degli Studi di Milano. 

Il Santuario dell’Ara della Regina

Il tempio con le sue grandiose proporzioni dà la misura dell’importanza di Tarquinia nell’Etruria intera. Gli scavi hanno dato corpo alla possibilità che qui fosse ricordato fin dal VI secolo a.C. l’eroe fondatore della città, Tarconte, di cui resta presumibilmente il cenotafio monumentalizzato da due piattaforme in blocchi squadrati, orientate in senso diverso rispetto a quello del tempio del IV secolo a.C. Della decorazione di questa fase più monumentale restano pochi frammenti in terracotta del frontone tra cui la famosa lastra dei Cavalli Alati, ora conservata al Museo Archeologico Nazionale Tarquiniense.
È possibile che la scena rappresentata fosse l’apoteosi dell’eroe Eracle, antenato di Tarconte, dopo la sua incinerazione sulla pira.

Porta Romanelli

L’unica porta monumentale finora scoperta nelle mura conduce con leggera salita all’interno della città nel punto in cui sorgono poderosi edifici costruiti con interessanti e diversificate tecniche murarie.

Complesso Monumentale

Corrisponde a una parte dell’abitato, con una continuità di vita ininterrotta fino al II sec. a.C.
Le origini dell’aggregazione del nucleo urbano risalgono al X sec. a.C.: una cavità naturale costituisce il fulcro di attività a carattere sacro-istituzionale di notevole interesse. Accanto ad essa è stato rinvenuto un bambino caratterizzato dal “morbo sacro” (affetto da epilessia), che gli antichi ritenevano potesse mettere in comunicazione con il divino. Proprio perché manifesti nella città-madre della religione degli Etruschi, questi rinvenimenti gettano luce sui modi in cui si concretizzavano le forme religiose della comunità, dalla dimensione precivica fino alle soglie della Romanizzazione.

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Traduzioni di Ylenia Marcucci e Alessandro Rotatori