Tomba degli Scudi

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Necropoli Etrusca

Tomba degli Scudi

terzo quarto del IV sec. a.C.

La tomba degli Scudi è stata scoperta nel 1870 in località “Primi Archi”.
Si tratta di una delle più grandi tombe di Tarquinia ed è un tipico esempio di ipogeo gentilizio del primo ellenismo ( terzo quarto del IV sec. a.C.).
La pianta simula quella di una casa con atrio centrale su cui si aprono tre ambienti, uno sul fondo e due laterali.
Solo il vano centrale e la camera in fondo sono decorati.
L’ipogeo presenta numerose iscrizioni dipinte, riferibili principalmente alla famiglia Velcha,
proprietaria del sepolcro, importante e potente “gens” (complesso di famiglie unite da comunanza di stirpe) tarquiniese nota anche dalla tomba dell’Orco.
La camera centrale è particolarmente notevole, sia dal punto di vista architettonico che per la
decorazione pittorica. Le scene più significative sono disposte nella parete frontale e in quella
destra, dove sono raffigurate rispettivamente due coppie: la prima composta da un uomo
semisdraiato su una kline (letto conviviale) e dalla donna seduta ai suoi piedi, identificabili come Larth Velcha , fondatore della tomba, e la moglie Velia Seithiti; accanto alla coppia sono raffigurati i genitori del fondatore: Velthur Velcha e Ravnthu Arpthnai.
Quest’ultima coppia è raffigurata anche sulla parete sinistra.
Sulla parete d’ingresso sono rappresentate scene di corteo che alludono al viaggio verso l’aldilà
di Larth Velcha, scortato dai littori, a sottolineare la dignità della sua carica magistratuale.
Il fregio d’armi nella camera di fondo, in cui sono raffigurati gli scudi che danno il nome alla
tomba, vuole forse evidenziare il ruolo preponderante svolto in campo militare dai membri
dell’aristocratica famiglia.
I soffitti sono a doppio spiovente, con travi in rilievo nel vano principiale.
La decorazione della tomba è dimostrativa dei programmi figurativi dei grandi sepolcri gentilizi
di età ellenistica ed è tesa a celebrare le virtù ed il rango della famiglia Velcha, immortalando il momento della partenza del defunto verso l’oltretomba e il banchetto funebre cui partecipano idealmente tutti i membri della famiglia. Le pitture sono fortemente espressive, con ricerche chiaroscurali e sapienti scorci.
Attualmente la tomba è chiusa al pubblico.

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La Storia di Tarquinia

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La Storia

Tarquinia nel tempo

La Storia di Tarquinia

dal XII-XIV sec a.C. ad oggi

Tra i più grandi d’Italia, il territorio tarquiniese si estende dagli ombrosi boschi dell’entroterra viterbese fino ad arrivare alle assolate spiagge della costa tirrenica, nelle tranquille acque del Mar Tirreno. Scoprire Tarquinia non ha stagioni, non è necessario attendere l’estate per godere del relax del mare, delle campagne, dei boschi. In ogni periodo dell’anno la città si offre al turista con le innumerevoli manifestazioni e con la natura in continuo divenire.

L’etrusca Tarkna (in latino Tarquinii) era situata a circa dieci chilometri dalla costa, dove era il suo porto principale, Gravisca, potente emporio del Mediterraneo. L’abitato etrusco sorse e si sviluppò in una felice posizione geografica da cui dominava la sottostante vallata del Marta, emissario del lago di Bolsena; il corso d’acqua, oltre ad essere allora un fiume navigabile dal mare fino alla città, per secoli garantì agevoli contatti con il retroterra e molto contribuì alla fioritura ed all’affermazione politica ed economica della città.

Pian di Civita, questo è il nome del pianoro da cui, per secoli, la potente città etrusca fu protagonista delle vicende politiche del Mediterraneo, è diviso dalla costa dal lungo e parallelo colle dei Monterozzi, sede delle necropoli storiche. Le attestazioni archeologiche più antiche del sito urbano risalgono all’età del Bronzo finale (XII secolo a.C.), anche se solo a partire dall’VIII secolo a.C., con l’incrementarsi dei contatti con il mondo greco e con la trasmissione di nuove tecnologie e di nuovi modelli culturali, si accentua quel processo di formazione urbana che porterà Tarquinia ad essere ritenuta “grande e fiorente” (Dionigi Alicarnasso) e “la più ricca d’Etruria” (Cicerone).

Nel VI e nei primi decenni del V sec. a.C. Tarquinia è al suo apogeo urbano; a questo corrisponde un’espansione che porterà la città a dominare su un territorio che giunge sino al lago di Bolsena. E’ il momento di massima potenza della città e questi decenni di grande splendore economico e politico sono testimoniati in maniera evidente dallo sviluppo della necropoli. Fra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. viene edificata l’imponente cinta fortificata lunga circa 8 km, che delimita una superficie di 135 ettari, per difendere la città dai Celti che scendevano dal Nord e da Roma che iniziava la sua espansione da Sud.
Le ostilità fra Tarquinia, alla testa della lega delle città etrusche, e Roma sfociano in un conflitto tra il 358 ed il 351 a.C. che si conclude con una tregua di 40 anni; nel 308 a.C. dopo un nuovo scontro armato, la tregua viene rinnovata per un periodo di ulteriori 40 anni.

Nel corso della prima metà del III sec. a.C. la città viene definitivamente sconfitta da Roma che occupa la fascia costiera. Le due città mantengono comunque buoni rapporti infatti Livio ricorda come Tarquinia, nel 205 a.C., abbia fornito a Scipione il lino per le vele delle navi usate nella spedizione africana in occasione della seconda guerra punica.
Nel 181 a.C., sul sito dell’antico porto, Roma fondò Gravisca, una colonia marittima. Dopo il 90 a.C. anche Tarquinia ricevette il diritto di cittadinanza romana e diventò un municipio retto da un collegio di quattro magistrati. Nel tardo periodo imperiale la decadenza divenne inarrestabile e nell’alto medioevo il pianoro della città si spopolò finché, nell’VIII sec. d.C., la sede episcopale fu spostata nella vicina Corneto e la Civita fu definitivamente abbandonata.

L’attuale Tarquinia, dal momento della sua formazione fino allo scorso secolo, fu chiamata Corneto; dal 1872 Corneto-Tarquinia e dal 1922 Tarquinia. Il nome sembra derivare dalla presenza di piante di corniolo. La città viene citata in uno documento (sec. VIII) dell’abbazia di Farfa. Altra tradizione vuole il nome derivato dal mitico re Corito, suo fondatore e progenitore di Enea. Le origini della città sono tuttora imprecisabili. Per Corneto lo sviluppo urbano non fu né conseguenza né causa di un drastico o traumatico abbandono della vecchia Tarquinia: anzi le fonti storiche documentano che almeno fino al sec. XIV i due centri coesisterono, anche se per importanza Tarquinia, che fu sede vescovile dal sec. IV, andava progressivamente cedendo il passo a Corneto: il primo nucleo si sviluppò sullo sperone di castello (secc. VI-VII) in luogo di una probabile preesistenza romana.

Si vuole che qui, intorno a una torre preesistente, si aggregasse un palazzo fortificato, in cui, nel 1080, la contessa Matilde di Canossa tenne un placito con poteri pontifici; si tratterebbe del luogo dove attualmente sorge la chiesa di S. Maria, detta, appunto, in castello e che, sembra, abbia sostituito una precedente S. Maria ad rupes, probabile cappella palatina. A questo iniziale castrum (accampamento fortificato) si aggregò, in breve tempo, un suburbio che si intensificò a tal punto da determinare l’esigenza (secc. IX- X), dell’edificazione di una cinta muraria a sua protezione.
Il sistema fortificatorio, ancora conservato a tratti, nel suo perimetro originario escludeva la parte orientale dell’attuale borgo (castro novo), che si sviluppò tra i secc. XIII e XIV. Il tracciato, quindi, superato castello, seguiva il percorso attuale fino alla piazza Cavour, piegando per corso Vittorio Emanuele Il e proseguendo per via Dante Alighieri, fino alla scoscesa del belvedere. Divenuta civitas (città stato) nel sec. XI (bolla di Sergio IV), la città, per altro, già gravitava nell’orbita del Patrimonio di S. Pietro fin dal 787. L’ascesa politica ed economica della città si manifestò (sec. XII) nei trattati commerciali stipulati con Pisa, Genova e Venezia, grazie alla vicinanza del mare e dei fiumi Marta e Mignone, allora navigabili e sulle cui foci esistevano importanti approdi.

Dalla metà del sec. XII Corneto fu libero Comune; pertanto divenne antagonista di Tuscania e Viterbo, svantaggiate in quanto ubicate nell’entroterra. Nel sec. XIII la città consolidò il proprio stato giuridico legandosi sempre più a Roma, che, infatti, si proponeva come migliore acquirente della sua ricca produzione frumentaria, per la quale Corneto era nota come horreum urbis (magazzino pubblico della città). Mutamenti determinanti iniziarono tra i secc. XIV e XV, quando la città fu coinvolta nelle lotte tra papato e impero.

Nel 1328 M. Vitelleschi, impadronitosi del potere, con l’intento di creare una Signoria, non realizzò il suo progetto perché rimase ucciso in una rivolta popolare scoppiata dopo solo due anni.
Tra i secc. XV e XVI iniziò una fase di costante decrescita, coincidente, tra l’altro, con il consolidamento del potere dei Vitelleschi e con la progressiva ingerenza della Chiesa, testimoniata dall’assedio e il saccheggio della città (1355), compiuti dalle truppe pontificie guidate da E. Albornoz e da G. Orsini. Nel 1435 Eugenio IV, elevando Corneto a sede vescovile, diede il titolo a SS. Maria e Margherita, che il vescovo B. Vitelleschi ristrutturò completamente per ricavarvi una cappella di famiglia. Nel 1439, con il restauro del torrione di Matilde, venne costruita una porta fortificata a baionetta, che escluse castello dall’area urbana, determinandone il rapido degrado. Tra la fine del sec. XV e l’inizio del sec. XVI due gravi pestilenze ridussero di due terzi la popolazione. Iniziò così un periodo di decadenza che investì anche il patrimonio edilizio. Nel sec. XVIII ci furono alcuni tentativi di risanare l’economia cornetana.
Tra questi, notevoli gli interventi al porto (Clemente XlI, 1738-48); in seguito Pio VII realizzò degli impianti per l’estrazione del sale (1802). Tra la fine del sec. XVIII e gli inizi del XIX la città venne, per due volte, occupata dalle truppe francesi: prima da quelle rivoluzionarie e, quindi, da quelle napoleoniche. Nel 1815 tornò allo Stato Pontificio fino al 1870, quando venne annessa al Regno d’Italia. Le vicende successive sono legate allo sviluppo dello stato italiano.

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Leopoli – Cencelle

Leopoli – Cencelle

Leopoli
Cencelle

Aree Archeologiche

Leopoli – Cencelle

IX secolo

Città fondata da Leone IV (15/08/854; Liber pontificalis cioè “Libro dei Papi”), nel territorio di Tarquinia presso il fiume Mignone, per salvare gli abitanti di Centumcellae (odierna Civitavecchia) dalle incursioni saracene. Sede vescovile, ebbe vita per cinque secoli. Annuali campagne di scavo vanno restituendo l’impianto urbano con edifici, chiese, sepolture e oggetti.

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Fontana Nova

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Fontana Nova

1124 – 1130

Costituita da un ampio vascone coperto da volte a botte è delimitata sul fondo da una parete in macco. Il prospetto è formato da sei archi che poggiano su tozze colonne sormontate da capitelli fogliati. Sul muro di fondo, al centro della luce di ogni arco, si impostavano le sei cannelle che ricevevano acqua da un condotto che, scorrendo dietro la cortina, si raccordava con il cunicolo sotterraneo. Risalente al pontificato di Onorio II (1124-30) e coeva alla vicina S. Maria in Castello, fu nota all’origine come Fontana Antica.

Dalla città, attraverso la Porta Falsa o del Fiore, per un camminamento lungo un costone roccioso – via coperta – si raggiungeva la principale fonte di approvvigionamento idrico della città. Alla fine del sec. XIV la fontana fu sottoposta a lavori di ristrutturazione, con la costruzione di un lavatoio e di una vasca (inguaççatoro) da utilizzare per tenere a bagno gli ortaggi; pertanto venne ribattezzata Fontana Nova. Regolamentata nell’uso dagli Statuti dell’arte degli Ortolani (1379), citata negli Statuti di Corneto (1436) forse in stato di abbandono, nel 1545 (Statuti) venne affidata agli ortolani e ai calzolai, affinché provvedessero annualmente alla pulitura e al buon funzionamento della stessa.
Nei sec. XVI-XVII fu realizzata la cisterna, addossata al lato sinistro della costruzione, deviando così il corso originario dell’acqua e alterando l’uso della fontana. La chiusura della Porta Falsa (sec. XVII) e il conseguente abbandono della via coperta segnarono il declino della struttura. Nel 1965 il Gruppo Archeologico Tarquiniese, su testimonianze storiche (Polidori, Croniche; Dasti, Notizie), dopo avere ispezionato un lungo tratto del cunicolo di adduzione dell’acqua, ha dato inizio a interventi di ripristino. Dal 1994 l’Associazione Fontana Nova ha curato il definitivo recupero del monumento e dell’area circostante.

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Chiesa di Santa Maria in Castello

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1121 – 1208

Cattedrale fino al 1435; successivamente in abbandono, ebbe alterne vicende e fu più volte restaurata. La costruzione di questo edificio che domina con la sua imponenza la vallata del fiume Marta sino al Mar Tirreno, risale all’anno 1121; venne portata a termine nel 1208 e solennemente consacrata alla presenza di dieci vescovi. Di stile romanico, costruita sulle preesistenze della Cappella altomedievale di S. Maria ad rupes, presenta l’interno a tre navate sostenute e divise tra loro da una serie di semi colonne ornate da fasce e capitelli in nenfro. Il pavimento si compone di eleganti mosaici di stile cosmatesco dei quali oggi rimangono solamente delle tracce. Nella navata a destra si trova uno splendido fonte battesimale a pianta ottagonale del tipo ad immersione. Denuncia influenze d’oltralpe, lombarde e arabe. Notevoli anche il ciborio e l’ambone. La facciata a terminazione rettilinea con campanile a vela ha tre portali ad arco a tutto sesto, una bifora e due monofore soprastanti cosmateschi. La parete esterna sinistra, decorata da paraste con archetti pensili e peducci in nenfro, ha dieci monofore. In alto nella parete centrale un rosone di tipo lombardo cui corrisponde nella parete opposta un oculo. Sul dirupo si impostano le tre absidi (poligonale la centrale, quelle laterali circolari irregolari). La parete esterna destra è rafforzata da un contrafforte a scarpa. Alcune epigrafi e iscrizioni coeve all’edificio ne documentano la storia (committenza, finanziamenti, clero, maestranze e artisti) e la politica cittadina nei secoli XII – XIII. Chiesa Collegiata e quindi retta da un priore con cappellani e canonici, iniziò a decadere dal 1435, anno in cui Papa Eugenio IV conferì il titolo di cattedrale alla chiesa di Santa Margherita. Nel XVI secolo vi dimorarono i Padri Carmelitani prima e quindi i Padri Conventuali e l’edificio subì vari restauri. Nel 1809 fu abbandonata dai religiosi in virtù del decreto imposto dal governo napoleonico. Nel 1819 un forte terremoto fece crollare la splendida cupola emisferica che si alzava sopra un tamburo cilindrico decorato all’interno ed all’esterno da colonnine in marmo reggenti una successione di archetti ciechi. Dal 1975 la chiesa è stata dichiara monumento nazionale.

PORTA ESTERNA DI CASTELLO

Con arco a tutto sesto (secc. XII-XIII) dà accesso al borgo, salendo da Fontana Nova e dal fiume Marta; presenta a sinistra una bertesca, nel sottarco superiore la piombatoia, in alto due fori tamponati, già per i supporti di un castelletto ligneo. Sulla destra la porta si addossa a una porzione delle mura altomedievali.

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